L'esercizio della professione per i dipendenti pubblici

Incompatibilità e deroghe ammesse

La professione di psicologo può essere esercitata con rapporto di lavoro dipendente oppure in regime di lavoro autonomo. Accanto a queste due modalità, ne esiste una terza, che consiste nella possibilità, al verificarsi di determinate condizioni, di esercitare come dipendente e al contempo come libero professionista. Tale possibilità dipende, in prima istanza, dalla natura del soggetto datore di lavoro.

In linea generale, il rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto privato non è a priori incompatibile con l’esercizio della libera professione, salvo il raggiungimento di diversi accordi tra le parti in sede contrattuale.

Se nei rapporti di lavoro alle dipendenze di un soggetto privato l’incompatibilità si pone sempre come eventuale, nel pubblico impiego costituisce la regola generale. Il dipendente pubblico è, infatti, legato alla propria amministrazione da un vincolo di esclusività, che rende incompatibile il proprio lavoro con il contemporaneo esercizio di un’attività libero professionale o alle dipendenze di altro datore di lavoro pubblico o privato.

In accordo con il quadro generale rappresentato, la legge istitutiva della professione di psicologo obbliga i pubblici impiegati di provare se sia loro consentito l’esercizio della libera professione, disponendo, per quanti non avessero titolo per svolgerla, un’esplicita preclusione che l’Ordine è tenuto a riportare sull’Albo.

La normativa ammette tuttavia alcune deroghe al principio generale dell’incompatibilità, che consentono ai dipendenti pubblici aventi titolo e iscritti all’Albo degli Psicologi di esercitare, ricorrendone i presupposti, anche la libera professione. Di seguito le situazioni più rappresentative.


Rapporto di lavoro a tempo parziale

La preclusione all’esercizio della libera professione generalmente vigente nel pubblico impiego non trova applicazione nei riguardi dei dipendenti pubblici che abbiano un rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno (Legge n. 662/1996, articolo 1, comma 58). Ne consegue che il dipendente pubblico interessato all’esercizio della libera professione dovrà chiedere all’amministrazione di appartenenza la trasformazione del proprio contratto di lavoro da full time a part time, non superiore al 50%. Tale conversione può tuttavia essere negata dall’Amministrazione se la libera professione o l’altro lavoro subordinato producono un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente o se dalla trasformazione del contratto in tempo parziale può derivare un pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione d’appartenenza.


Personale del Servizio Sanitario Nazionale

Una particolare categoria di dipendenti pubblici per i quali la normativa ammette particolari deroghe è quella del dirigente psicologo, inquadrato nei ruoli organici del Servizio Sanitario Nazionale, che può esercitare la libera professione nelle forme dell’attività intramuraria o di quella extramuraria (art. 15-quater, art. 15-quinquies, art. 15-sexies del D.lgs. n. 502/1992).

Tale disposizione riguarda anche il personale docente universitario e i ricercatori in servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università convenzionate.


Personale docente

Gli insegnanti sono soggetti a una disciplina particolare, che ammette la possibilità di esercitare la libera professione, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, purché il lavoro autonomo non sia di pregiudizio allo svolgimento delle attività inerenti alla funzione docente e compatibilmente con l’orario d’insegnamento e di servizio. Nel caso di rifiuto dell’autorizzazione, il docente ha facoltà di ricorrere al provveditore agli studi, che decide in via definitiva (articolo 508, D.lgs. 297/1994).

Tali previsioni riguardano, oltre che il personale docente dipendente dallo Stato, anche il personale docente dipendente dagli enti locali, con l’unica differenza che contro il diniego di autorizzazione è possibile ricorrere al sindaco o al presidente della provincia (articolo 48, Legge 144/1999).


Personale degli Enti Locali

Il Decreto legislativo n. 267/2000 ha ulteriormente esteso la possibilità di ricevere un’autorizzazione all’esercizio della libera professione al personale degli enti locali, conferendo a quest’ultimi la potestà regolamentare sulla disciplina delle incompatibilità.


Personale docente delle Università

Un caso particolare è rappresentato dai professori e dai ricercatori universitari.

I professori ordinari, straordinari e associati hanno la possibilità di scegliere tra il regime a tempo pieno e il regime a tempo definito. Tale opzione deve essere richiesta al rettore almeno sei mesi prima dell’inizio di ogni anno accademico e obbliga a rispettare l’impegno preso per almeno un biennio. Per tale categoria di professionisti, soltanto l’opzione per il regime d’impegno a tempo definito è infatti compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne (articolo 11, Dpr n. 382/1980).

I ricercatori universitari, invece, «non possono svolgere, fino al superamento del giudizio di conferma, attività libere professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza». La preclusione può venir meno quando, una volta superato il giudizio di conferma, il ricercatore opti per il regime a tempo definito (art. 1, Dl n. 57/1987).

Con la Sentenza n. 389/2011 la Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ha evidenziato come debba «ritenersi che anche per i ricercatori confermati, come per i professori universitari, l’incompatibilità allo svolgimento di attività libero – professionali sia esclusa solo in caso di opzione per il tempo definito, mentre sussiste in caso di opzione per il tempo pieno».


Consulenti tecnici d’Ufficio

Sul possibilità per il dipendente pubblico di assumere incarichi in qualità di consulente tecnico d’Ufficio (Ctu) è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato (sentenza n. 3513 del del 17 luglio 2017), che,  confermando una sentenza del Tar per la Campania, ha stabilito che non è necessaria l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.